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L’immersione dei data center sott’acqua raffredda i server, ma influenza le condizioni climatiche del pianeta. Cosa comporta?

Nel 2016 ha avuto inizio lo studio per il posizionamento dei data center e la conseguente fase di sperimentazione delle infrastrutture sott’acqua. Questa ricerca è stata condotta per verificare se le strutture possono superare uno dei più frequenti problemi dei data center, il surriscaldamento dei server.

I primi test hanno rilevato una minore latenza dato che le strutture si trovano vicino ai centri abitati. La location in questione è al largo della costa della California, a circa 9 metri di profondità.

Per la durata di vita dei data center si prevedono 20 anni con conseguente riciclo dei materiali.

Il progetto di Microsoft

Uno dei casi più emblematici è la collocazione del data center di Microsoft nelle profondità del mare scozzese. Questi super computer, costantemente attivi per il calcolo di migliaia di PC di fascia alta, si surriscaldano al punto da poter produrre calore per un ambiente.

Project Natick di Microsoft rappresenta per l’azienda la possibilità di raffreddare i data center. L’esperimento consiste nell’immergere un data center composto da 864 server, ovvero 27,6 petabyte di dati, nel mare scozzese per circa cinque anni.

In questo modo, l’archivio digitale viene alimentato dall’energia rinnovabile prodotta dalle Isole Orcadi e rimane connesso a Internet attraverso un cavo subacqueo.

L’obiettivo è dare energia all’infrastruttura attraverso un sistema di turbine subacquee o sfruttando l’energia prodotta dalla corrente. Ne consegue che i sistemi non dovrebbero richiedere interventi di manutenzione per molti anni.

Al contrario, Facebook e Amazon

Facebook e Amazon, invece, si affidano ai metodi convenzionali e hanno pensato di posizionare i data center in luoghi molto freddi. Nella città svedese di Lulea dal 2013 all’interno del Node Pole c’è il primo data center di Facebook fuori dagli Stati Uniti. L’area di 300 metri per 100 metri permette di raffreddare naturalmente i server con l’aria esterna che mediamente tocca i 20 gradi sottozero in inverno.

Nel caso di Amazon, l’azienda si è accordata con la regione cinese di Ningxia per disporre il data center a Zhongwei, dove il clima invernale è rigido e l’estate è mite.

Dal punto di vista ambientale

Questi progetti non implicano solo effetti di riscaldamento, ma anche emissioni di carbonio prodotte dall’alimentazione basata sui combustibili fossili. Per questo motivo, le infrastrutture sono le “acciaierie di questa generazione”.

Basti pensare che ogni ricerca su Google costa al pianeta in termini di anidride carbonica. E per sensibilizzare su questa tematica nel 2015 l’artista Joana Mull ha illustrato le conseguenze ambientali di tali azioni attraverso la visualizzazione dei dati chiamata CO2GLE.

Ad oggi, secondo Climate Change News l’industria dell’informazione potrebbe rispondere del 3,5% di tutte le emissioni nel mondo con la possibilità di raggiungere il 14% entro il 2040.

Allo stesso modo, è necessario monitorare il cosiddetto mining delle criptovalute, che attualmente richiede la stessa energia necessaria a sostenere una nazione come l’Irlanda.

Stay tuned!